domenica 27 febbraio 2011

Non voglio inculcare più

"Nella scuola statale ci sono dei docenti che cercano di inculcare idee contrarie a quelle dei genitori." (berlusconi)
Ha ragione, per cui da domani basta inculcare: li lascerò mangiare senza sosta, giocare con le PSP, i telefonini e gli IPAD, scambiarsi SMS e ascoltare mp3 in cuffia a tutto volume; li lascerò entrare e uscire a piacimento e gli darò anche la password della rete wireless affinchè possano chattare su facebook, giocare a poker o vedersi qualche porno (no i porno no: perchè la scuola si può solo permettere una connessione da terzo mondo e quindi niente streaming); lascerò che si menino, li guarderò fare l'aeroplanino sui pavimenti, fumare, dormire, disegnare sui muri, smontare i banchi, ruttare, scoreggiare, urlare, bestemmiare, sporcare per terra, intasare i cessi, amoreggiare nei corridoi e così via. Insomma li farò sentire a casa loro.

Ai compiti in bianco darò sette e a quelli colorati con l'evidenziatore darò nove.

Alla fine dell'anno li promuoverò tutti con ottimi voti per la felicità delle famiglie e del dirigente scolastico ed allora - finalmente - non ci sarà più differenza con la scuola privata e silvio e mariastella non potranno più lamentarsi di me.


P.S. Scherzo, ma ogni riferimento a persone esistenti e a fatti realmente accaduti è voluto e certificabile.

martedì 22 febbraio 2011

Gli equilibri si sono rotti


Chi ci governa (al di sopra degli stati) vuole che una parte del mondo consumi per potersi arricchire. Ma l'altra parte deve essere sfruttata, perchè i privilegi di alcuni sono la miseria di altri.

Il consumatore cominciava però ad essere incerto, sentiva scricchiolare le sue sicurezze, vedeva le fabbriche chiudere, i poveri aumentare; vedeva gli immigrati come il risultato di quello stesso sistema economico che lo cominciava a toccare da vicino, l'esempio vivente di cosa gli sarebbe potuto capitare.
Ed allora gli stati - che nulla possono o vogliono fare contro le spinte economiche che li sovrastano - hanno costruito la paura del terrorismo e del fondamentalismo e l'hanno collegata all'immigrazione. Le paure dei consumatori sono così state deviate dalla causa ad uno dei suoi effetti: le migrazioni economiche trasformate mediaticamente in un attacco famelico e armato.
I governi locali si sono così costruiti un ruolo che potevano affrontare: la difesa dei confini da queste nuove invasioni barbariche.

Ai privilegiati è stato insegnato che i loro privilegi sono dovuti e vanno difesi (guai se aprissero gli occhi e vedessero il sangue nel carrello della spesa).
Ci hanno così convinti ad accettare il sostegno a dittatori sanguinari per mantenere il nostro tenore di vita (e - nello stesso modo - ad accettare supinamente le volontà delle multinazionali).

I privilegiati hanno così delegato - perchè il consumismo prevede che non si faccia più nulla da soli - polizie, eserciti, mercenari e multinazionali a combattere per loro.
Ma anche chi è al di fuori, chi bussa alle porte, chi non ha nulla da perdere è pronto a combattere se non per diventare un privilegiato, almeno per non essere più sfruttato; e non può che farlo in prima persona.

Se poi qualche chiesa sfrutta questa disperazione è solo un effetto collaterale, non è la causa.

Immaginiamoci ora come giudici terzi e domandiamoci: quale dei due comportamenti è più "giustificabile"? Quello dello sfruttato o quello dello sfruttatore?

Se voi foste in Libia cosa fareste nei confronti di chi ha aiutato e giustificato il dittatore, che gli ha baciato le mani, che non lo ha voluto disturbare durante le stragi, che continua a sfruttare le vostre risorse senza che a voi venga nulla, che pochi decenni fa vi ha invaso con la sua razza superiore, la cui ferocia non è stata mai dimenticata?

Perchè non rispondere all'Italia e al mondo con le sue stesse leggi? Perche non chiudere il gas e il petrolio per rinegoziarne il prezzo? Perchè non liberare quell'esercito di disperati in fuga - scarti di economie distrutte dallo sfruttamento e dalla globalizzazione - ora bloccati sulla strada della migrazione dal denaro italiano?

Già, perchè no? Per non disturbare il nostro quieto vivere?

E noi cosa faremmo? Gli spareremo addosso? Cercheremo di nuovo di assicurarci un posto al sole?

Gli equilibri si sono rotti, e noi siamo proprio sulla linea di frattura.

lunedì 21 febbraio 2011

La pubblicità dell'ENI


"Video su Youtube dalla rivolta di Bengasi, in Libia. Un mercenario africano è stato catturato dalla folla inferocita. Il soldato non parla bene l'arabo.

I manifestanti domandano: «Di chi sono gli ordini?».
L'uomo risponde: «Degli ufficiali. Giuro. giuro.. ordini ordini».
La folla chiede ancora: «Vi hanno detto di sparare contro la gente con pallottole da guerra?»
Il prigioniero risponde: «Sì, Sì»
A quel punto si scatena la ferocia del branco.
Molti dicono: «No, No non fate così... facciamolo parlare. Non possiamo fare come loro...»".

La mia domanda è: cosa ci fa il marchio dell'ENI sulla maglia di un mercenario di Gheddafi?

Fonte con video

domenica 20 febbraio 2011

Cella liscia


In carcere arrivano persone da ogni parte d'Italia, ma quella no, quella viene da un paesino vicino. Per questo tipo di rifiuti è più economico il carcere a km zero.

E' un alcolizzato con problemi mentali, senza famiglia, senza istruzione, senza lavoro, senza aiuto, molto più vecchio della sua età, uno che vedi per la strada e giri al largo; la pietà - se anche la provi - è scacciata dalla repulsione.

Per ubriacarsi ruba e mentre lo fa urla, inveisce e fa il matto; lo prendono sempre ed è un continuo andirivieni verso il carcere: furto, minacce, estorsione; tutto per una bottiglia con cui ubriacarsi.

Ubriacarsi - forse - per placare qualcosa di spaventoso che gli gira per la testa; qualcosa che posso solo immaginare, perchè non lo conosco, perchè è una storia che mi hanno raccontato, ma mi fa paura.

E quando entra in carcere fa sempre la stessa cosa: si taglia.

E allora deve stare in "cella liscia" una cella senza nulla: solo un materasso sporco e una coperta, un buco per gli escrementi, dove sta solo e nudo. Una tortura che si aggiunge a tutto il resto, inflitta come male minore, per proteggerlo da se stesso.

Eppure riesce lo stesso a tagliarsi e poi sparge gli escrementi per la cella e se li spalma sulle ferite e sul corpo.

Nella voce e negli occhi di chi mi racconta questa storia sento la disperazione, l'impotenza, l'impossibilità di evitare questa lenta eliminazione di una vita. Lo strazio di chi è ancora umano in un sistema che stritola quelle che ritiene "vite indegne di essere vissute".

Tutto questo accade vicino da noi; e rimane lì anche se ci giriamo dall'altra parte. Lui beve, noi - per non vedere - ci ubriachiamo di ipocrisia.

Pian piano, con lente volute, il fumo nero continua a uscire dai camini.

venerdì 18 febbraio 2011

giovedì 17 febbraio 2011

L'esaurimento delle risorse

Come mai dopo trent'anni di dittatura gli egiziani si sono svegliati proprio adesso?

Forse la misura era colma o forse c'è qualcosa d'altro. La scintilla che ha innescato la rivolta è stata l'aumento del prezzo del cibo, ma perchè c'è stato questo aumento?

Cominciamo coll'osservare il grafico dei consumi interni di petrolio: vediamo che sono cresciuti rapidamente mentre la quantità di petrolio estratto è costante.

Le due curve si sono incrociate e l'Egitto sta passando dalla condizione di esportatore a quella di importatore di petrolio (se ci sarà petrolio disponibile per lui sul mercato mondiale visto che molte altre nazioni hanno una produzione stabile o calante dal 2005 mentre le richieste crescono).

L'Egitto non è un grande esportatore ma i guadagni sulle esportazioni di petrolio fornivano il denaro per i sussidi statali con cui venivano tenuti bassi i prezzi del cibo e dei combustibili; sussidi - in parte - ancora garantiti dalle esportazioni di gas, la cui produzione è però rimasta praticamente piatta dal 2005 e per cui non si prevedono aumenti.

La fine delle esportazioni significa dunque la brusca fine dei sussidi e quindi l'aumento dei prezzi dei generi di prima necessità e dei combustibili.

Mentre accadeva questo, la popolazione dell'Egitto è cresciuta (spinta proprio dal relativo benessere indotto dalle esportazioni di petrolio) e quindi è aumentata la richiesta di cibo ma è diminuita la terra per l'agricoltura sostituita da aree urbane. L'Egitto è così oggi il primo importatore di grano al mondo (importa il 40% del suo cibo e il 60% del grano).

Ma la produzione mondiale di cereali non sta crescendo in modo da soddisfare le richieste, sia per problemi contingenti legati a eventi metereologici e agli incendi in Russia, ma anche perchè parte delle terre fertili viene usata per i biocarburanti e perchè gli aumenti di produzione legati alla Rivoluzione verde (cioè all'uso di fertilizzazione e irrigazione) sono ormai finiti.

Alla scarsità mondiale di materie prime e cibo si somma una maggiore richiesta dovuta al fatto che il sistema economico mondiale si è sostenuto - dopo la crisi finanziaria - riversando un fiume di denaro su India, Cina, Brasile, Russia e Indonesia. Il tenore di vita di due miliardi e mezzo di persone si è alzato velocemente e con esso i consumi di prodotti alimentari e beni voluttuari (il modello consumistico per sostenersi cerca nuovi consumatori).

Minore offerta e maggiore richiesta portano all'aumento dei prezzi a cui si somma l'aumento dei costi di produzione e trasporto legati all'aumento del costo del petrolio.

In Egitto si ha dunque un problema legato al picco della produzione petrolifera locale che si incrocia con quello mondiale dell'aumento dei prezzi delle materie prime e del cibo.

Moltissimi sono i paesi produttori di petrolio il cui modello economico è lo stesso dell'Egitto e che si trovano - o si troveranno - in situazioni simili (Export land model): tra cui il Messico (il secondo esportatore verso gli Stati Uniti), l'Iran, l'Algeria, lo Yemen, la Siria, l'indonesia, la Malesia, l'Argentina, la Colombia, ma anche la stessa Arabia Saudita e la Russia.

Gli altri paesi al di fuori delle economie "emergenti" e senza risorse petrolifere stanno "semplicemente" sperimentando un aumento dei prezzi che spinge milioni di persone dal livello di sopravvivenza a quello di indigenza.

La richiesta di democrazia dei popoli del Mediterraneo è dunque richiesta di cibo per mangiare e di abiti per vestirsi: i due dollari al giorno con cui vive la maggior parte delle persone del Mediterraneo meridionale non bastano più a soddisfare i bisogni primari.

Si può stare trent'anni sotto una dittatura, se si mangia, ma quando la propria sopravvivenza è in gioco non ci sono polizie o frontiere che possano fermare i disperati.

La globalizzazione consiste in una competizione in cui aree di privilegio si mantengono sul massacro delle popolazioni dei paesi più deboli. Una competizione che comincia anche a colpire dall'interno i paesi "ricchi" ove si creano sacche sempre più vaste di esclusi, di esuberi, di rifiuti.

La tenuta del sistema di sfruttamento coincide con la tenuta della frontiera fra benessere e povertà estrema, linea di confine che fino a qualche settimana fa era presidiata da dittature e oligarchie spietate a cui l’Occidente aveva rilasciato un lasciapassare internazionale, in cambio della regolazione dei flussi migratori e dell’emarginazione dei fondamentalismi religiosi.

Ma ora si è scatenato il mostro della fame che ha fatto saltare un equilibrio politico durato trent’anni.

Ecco ora un altro grafico: l'andamento mondiale dei prezzi del cibo (fonte FAO):


I prezzi sono calati con la crisi finanziaria ma ora si stanno impennando di nuovo. Dietro a questo grafico c'è miseria, fame, morte, rivolte e guerre, ci sono gli attentati e i pirati che attaccano le petroliere, ci sono i paesi produttori di petrolio che venderanno cara la pelle, ci sono bambini che muoiono senza cure in Iran o bruciano nelle loro baracche a Roma.

Sul cibo un altro fronte sta per aprirsi: il prezzo del riso non ha per ora seguito la corsa al rialzo, la maggior parte dei governi asiatici sta vendendo le proprie riserve per calmierare il mercato della più importante risorsa alimentare mondiale e per il momento la situazione sembra sotto controllo.
Fra sei mesi le scorte finiranno e probabilmente il prezzo del riso seguirà quello del grano con il risultato che più di un miliardo di persone si troverà alla fame, a quel punto i confini degli Stati avranno lo stesso valore di una linea tracciata sulla sabbia travolta da un'onda enorme di disperati.



Ed alla fine un pensiero per il nostro paese: senza materie prime e con i terreni agricoli invasi dal cemento e dai rifiuti. L'unica cosa che avevamo erano i cervelli, ma sono scomparsi ormai da parecchi anni. Nelle scuole pascolano solo bocche che pretendono di essere sfamate - ignare vite di scarto. Tutto quel che dovremo importare - se ce ne sarà a sufficienza - ci costerà di più. Senza una guida, illusi fino all'ultimo di essere in un mondo - se non fatato - comunque controllabile con l'uso della prepotenza istituzionale verso i più deboli e con la diminuzione delle spese per la solidarietà, la salute e l'istruzione, sempre in attesa di qualche miracolo tecnologico, quando ci risveglieremo dal sogno ci ritroveremo nell'incubo.

La crisi vera sta per arrivare e non sarà passeggera, non ci sarà ripresa, il modello consumistico è al capolinea. Non esistono soluzioni locali a questa crisi globale. Dovremo ripensare tutto il nostro modo di vivere perchè la soluzione (non cruenta) sarà una sola: riportare al centro di tutto l'uomo, al posto che ora è del denaro.


P.S. questo post è la sintesi di molti articoli e letture che cerco di elencare nel seguito:
What's Behind Egypt's Problems?
Food price index
Export land model
Militari, fregatura d'Egitto Massimo Fini Il Fatto quotidiano 16/2
Allarme fame per l'Occidente Superbonus Il Fatto quotidiano 15/2

domenica 13 febbraio 2011

C'era una volta una ministrina

C'era una volta, nel paese dei pompini, una ministrina stupida e ignorante, ma così stupida e ignorante che le capre - vedendola passare - si davano nelle zampe ridacchiando.
Come tutti i potenti di quel bel paese, faceva bella mostra di se con frasi senza senso ma dette col tono di io sono io e voi non siete un cazzo.
Nulla sapeva la ministrina della storia del re nudo (o meglio: aveva sempre equivocato, ma non è qui il caso di approfondire).
Accadde così che quando cominciarono a volare pernacchie e uova marce continuò a gracchiare come un disco rotto: "andate a lavorare".
Ma tutto finì presto e di lei non si seppe più nulla.

Solo le capre ne conservano ancora un'allegra memoria.

giovedì 10 febbraio 2011

Stato contro Stato (post per gli smemorati)


Il 1 marzo 2010 scrivevo:

"La Corte di Cassazione del tribunale di Milano ha stabilito che:
David Mills fu corrotto da Silvio Berlusconi con 600.000 dollari, ma siccome sono passati 10 anni e 4 mesi non può più essere condannato. Dovrà però ugualmente pagare 250.000 euro allo Stato per il danno di immagine che ha procurato alle Istituzioni facendosi corrompere dal Presidente del Consiglio del Ministri.

Non è poi un concetto così complicato da esporre."

Oggi vorrei quindi ricordare - perchè pare che nessuno se ne sia accorto - che lo Stato ora dovrebbe - logicamente - farsi pagare i danni anche dal corruttore dopo averli ottenuti dal corrotto.